Sabines è un poeta che, come José Martí, Pablo Neruda o Jannis Ritsos, appartiene non solo alla minoranza degli altri poeti, critici e professori universitari, ma a un popolo. Le sue poesie sembrano essere fatte per tutti ed essere di tutti, persino di quelli che indossano guanti antisettici al momento di scrivere o di quelli che aspirano a che le loro poesie si abbelliscano con gli ornamenti e gli sfoggi di un altare barocco. Ma il fatto che stupisce è che Sabines abbia contribuito scarsamente a tale popolarità. Come Juan Rulfo, un altro grande solitario, non ha fatto vita letteraria e la vanità lussuosa di poeti e scrittori, di valore o non, gli è stata quasi o di fatto insopportabile. Le sue comparse pubbliche sono rare e sempre dovute a letture delle sue poesie, durante le quali è impressionante confermare il fervore quasi religioso di un pubblico composito e numeroso che conosce a memoria poesie o versi suoi, che li sussurra, li dice a voce alta, li ripete in coro, li recita col cuore e con la mente. Non c’è stata una sola volta, che io sappia, che abbia dato una conferenza o partecipato a una tavola rotonda. La sua vita artistica pubblica è legata alla poesia, o più precisamente, alla sua poesia. Come lo stesso Rulfo, si è limitato a pubblicare i suoi libri e i suoi innumerevoli lettori hanno finito col deificarlo. (M.A.C.)