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Rivista Internazionale di Poesia, Arte e Teatro
POESIA ITALIANA : Gianni Fucci

poesia italiana : GIANNI FUCCI

anno 4 - N° 10
20 Febbraio 2019

Nato a Monbeliard (Francia) nel 1928 da padre toscano e madre romagnola di Borghi, Gianni Fucci ha vissuto fin dall’infanzia a Santarcangelo di Romagna. Ha fatto parte del gruppo degli intellettuali santarcangiolesi noto come E’ Cìrcal de giudêizi, “In circolo del senno”, che comprendeva Rina Macrelli, Tonino Guerra, Nino Pedretti, Raffaello Baldini, Flavio Nicolini, e in modo non organico i pittori Lucio Bernardi, Federico Moroni e Giulio Turci.
Scomparso lo scorso 15 febbraio, noi oggi vogliamo ricordarlo con due poesie: la prima, dialettale, è tratta da Vént e bandìri (Raffaelli, 2005); la seconda, in lingua italiana, fa parte di Sigilli del tempo (Raffaelli, 2015).





DÈ PAR DÈ
 
 
A la baléa de témp
– a sémm ad quéi ch’i n sa se quand ch’u s mór
e’ mór ênca e’ pensìr –
ócc sparguiéd pr e’ mònd:
i à vést, i n’à vést…
ênca se quelcadéun l’à tòcch sal mêni
l’aqua tévda de mêr.
 
Adès l’è al z·ghéli ad luce ch’a l custrènz·
la memória éulta i santìr dl’alvêda,
fura de schéur di andréun
d’indvè ch’e’ nas i móstar…
 
Quéi ch’i à lasê e’ curtéil dal chês·i vèci
pr andê vaiéun in zirca d’un êlt dmên
l’è ormai sunàmbal strach
éulta carz·êri ad fómm.
 
E’ vént! L’è stê e’ vént!
Da la fèsta dla Pìva
l’à sgné la féin dl’instêda.
Dè par dè e’ sfurgàta tla piéga
e ta n sé quèll ch’l’è stê, quèll ch’e’ sarà:
nè ad tè nè ad ch’ilt.
 

 
27 giugno-20 ottobre 2001 – 3 aprile 2002
 
 


 
GIORNO PER GIORNO
 

In balìa del tempo
– siamo di quelli che non sanno se quando si muore
muore anche il pensiero –
occhi sparpagliati per il mondo:
hanno visto, non hanno visto…
anche se qualcuno ha toccato con le mani
l’acqua tiepida del mare.
 
Ora sono le cicale di luce che costringono
la memoria lungo i sentieri dell’alba
fuori dal buio degli androni
da cui sorgono i mostri…
 
Coloro che hanno lasciato il cortile delle vecchie case
per vagare in cerca di un altro domani
ormai sono stanchi sonnambuli
lungo carreggiate di fumo.
 
Il vento! È stato il vento!
Dalla festa della Pieve
ha segnato la fine dell’estate. 
Giorno per giorno fruga nella piaga
e non sai ciò che è stato, quello che sarà
né di te né degli altri.
 
 
 







IN SOMMA
 
 
Non più
il rito del profumo
che lievitava afflati
nei vividi giardini del ricordo.
Ormai
solo malati e visionari
assiepano i balconi
del commiato
e nel grigiore
dell’attesa
il vago e doloroso accadere
la pura nostalgia del canto
della sperduta polla.
 
Improbabile
è l’acqua amabile del sogno
anche se tu
mai paga di letizia
con la frugale alacrità dell’ape
generosa ti spendi.
Io, di null’altro capace
che dell’amaro inaridire
in questa notte opaca e chiusa
e di viltà modello,
approdo alla malinconia
al quotidiano orpello
che raggruma
ai cancelli inesorabili del nulla.
 
È giusto, la voce più vera
ci viene sempre dal sangue
e il sangue accorre
da ogni regione del cosmo.
Il sangue delle vele e del vento
della luna e del bosco
il caldo, fremente, dolcissimo sangue
che è sotto le croci
che è sotto ogni segno
e che infine dilegua
nei sogni profondi del mare.
 
Capisco. Ci sono sentieri
che chiamano a sbocchi perversi
ai freddi ristagni di crudo dolore
ed è quando intorno
ti scorre il deserto
del tuo quotidiano.
- l’angoscia del vano operare,
del vano cercare il contatto! -
Lo so che quello che conta
è il modo di vivere il dramma
ma quanta fatica ti costa
afferrare la guglia di luce
che sfiora il tuo buio profondo.
Sovente il pensiero
anela ai più teneri sguardi
e non all’inerte sostare
sul tetro di visi
racchiusi in pensieri di pietra.
Le inutili attese
nell’incubo di glaciazioni
sono, del gesto
il substrato,
l’implicito scatto
che porta alla resa finale,
lo sparo che alluma
la misera stanza d’albergo.
 
Oppure il messaggio lanciato
ha raggiunto la fonte
e le penne graffianti!
perfino l’usciere di banca
una sera speciale
assieme alla moglie un po’ tonta
è venuto a teatro.
 
Così qualche volta
il poeta s’illude
e il passero ardito
che ammicca al suo cuore
raggiunge le cime vetrose
e le infrange col canto.
E, bello, sarebbe
una sera d’estate
fermarsi sull’uscio
e attendere il fresco
che porta il tramonto
sentendo che dentro
il fanciullo
non è stato ucciso
e trilla festoso
nel melico verso dei grilli.
 
Invece
giocare a nascondere il nulla
è un’inutile pena:
si può
camminare nel mondo
cercando qualcosa
da mettere assieme a te stesso
e giungere in fondo al percorso
soltanto con vuoti cartocci.
 
Così, in affanno
ti chiudi la porta alle spalle
e forse è per l’ultima volta.