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Rivista Internazionale di Poesia, Arte e Teatro
POESIA SPAGNOLA : Federico García Lorca

poesia spagnola : FEDERICO GARCíA LORCA

anno 3 - N° 09
19 Giugno 2018

Nel 1995 la Nuova Compagnia Editrice pubblicò nella "biblioteca di clanDestino" sei poesie inedite di Federico García Lorca. Edite per la prima volta in Spagna nel 1988 in una tiratura di soli 250 esemplari, venivano allora tradotte in lingua italiana da Piero Menarini, docente di Lingua e Letteratura spagnola all'Università di Parma e uno dei massimi esperti del poeta spagnolo. Oggi vogliamo proporre ai nostri lettori il secondo di questi inediti, [Yo estaba triste frente a los sembrados]. 
Federico García Lorca (Fuente Vaqueros, 1898 - Víznar, Granada, 1936), poeta e drammaturgo, è stato una delle voci più originali del Novecento spagnolo. Morì durante i primi giorni della guerra civile, fucilato dai franchisti. I versi che seguono sono il prodotto del periodo più precoce della produzione lorchiana: in essi riscopriamo un Lorca religioso e shakespearino, in cui il sentire e il sapere, l’emozione affettiva e lo stimolo culturale, si susseguono e si alternano con tipico fare giovanile.





 
[YO ESTABA TRISTE FRENTE A LOS SEMBRADOS]

 
Yo estaba triste frente a los sembrados.
Era una tarde clara.
Dormido entre las hojas de un librote
Shakespeare me acompañaba…
«El sueño de una noche de verano»
Era el librote.
 
Estaban
Descansando en la tierra los arados.
Y era tristeza humana,
La tristeza de aquellos armatostes
Dormidos junto al agua.
¡Qué hermosas son las nubes del otoño!
Lejos los perros ladran.
Y por los olivares lejanos aparecen
Las manos de la noche.
 
Mi distancia
Interior se hace turbia.
Tiene mi corazón telas de araña…
¡El demonio de Shakespeare!
¡Qué ponzoña me ha vertido en el alma!
 
¡Casualidad temible es el amor!
Nos dormimos y un hada
Hace que al despertarnos adoremos
Al primero que pasa.
¡Qué tragedia tan honda! Y Dios ¿qué piensa?
¿Se le han roto las alas?
¿O acaso inventa otro aparato extraño
Para llenarlo de alma?
¿Será Dios un artista medio loco?
¡Dame, San Agustín tus manos pálidas
Y tus ojos de sombra
Y tu llama!…
 
Estas flores tranquilas de la acequia
¿Son como mis palabras
Frutas para los dientes de los aires
Y después para nada?
Y esa encina que casi tiene boca
Y brazos y mirada
¿Dejará la yedra de su espíritu
Para hundirse sin alma?
Y luego el corazón ¿de qué nos sirve?
¿Para dejarlo en una senda larga
Colgado en otro pecho
O enterrarlo bajo la nieve blanca
Cuando sentimos sobre nuestra frente
El frío de las canas?
…………………………………
 
…………………………………
¡Qué lejos está el monte!
¡Amigo William!
¿Me escuchas? ¿Sí?
(Las ramas
Secas de los árboles
Suspiran en silencio sobre el agua.)
 
***
 
¡Cuánta sombra! ¡Dios mío!
Ya me acuerdo de ti… Ya la esperanza
Como una flor echa su polen de oro
Sobre mi frente mala.
¡Gracias Señor!
 
Dos sombras silenciosas
Por el camino pasan.
Una es el geniecillo de Descartes.
La otra sombra es la Muerte…
Yo siento sus miradas
Como besos de plomo sobre mi piel.
¡Se han callado las ranas!
¡Ya se alejan! Ay ¿cuál es el camino
Que conduce a mi casa?
¿Es éste? ¿Es aquél? ¿O esa vereda?
¡Qué confusión!…
 
¡Las ranas
Empiezan muy piano sus canciones
Todas desconcertadas!
Y ya donde se cruzan los caminos
Veo sobre la montaña
Una caricatura de la esfinge
¡Riendo a carcajadas!
 
***
 
Luego pensé en mi habitación a solas
Y al calor de mi lámpara:
Todos vivimos en al bosque negro
Que Shakespeare se inventara.
Hay quien se siembra lirios en el pecho
Y le nacen ortigas.
 
Hay quien canta
Creyendo que es alondra matutina,
Y está muda su flauta.
Pero, Señor, ¿el corazón es cosa
Tan frágil y tan falsa?
Pienso serenamente en mi tristeza.
Es ya la madrugada
Y veo en cada silla de mi cuarto
Sentado un gran fantasma.
 
 

 
23 octubre 1917
 
 
 




 
[TRISTE OSSERVAVO I CAMPI SEMINATI]
 

Triste osservavo i campi seminati.
Era una sera limpida.
Assopito tra le foglie di un librone
Shakespeare mi teneva compagnia…
«Sogno di una notte di mezza estate»
Era il librone.
 
Riposando
Nella terra stavano gli aratri.
Ed era tristezza umana,
La tristezza di quei marchingegni
Assopiti accanto all’acqua.
Come son belle le nubi dell’autunno!
In lontananza latrano i cani.
E fra gli uliveti lontani appaiono
Le mani della notte.
 
La mia distanza
Interiore diviene oscura.
Di ragnatele è coperto il mio cuore…
Quel demone di Shakespeare!
Che veleno m’ha versato in cuore!
 
Temibile casualità è l’amore!
Ci assopiamo e una fata
Fa sì che al risveglio adoriamo
Il primo che passa.
Che immensa tragedia! E Dio, a cosa pensa?
Gli si son rotte le ali?
O forse inventa un altro strano congegno?
In cui infondere un’anima?
Non sarà Dio un artista un po’ tocco?
Dammi, Sant’Agostino, le tue pallide mani
E i tuoi occhi d’ombra
E la tua fiamma!…
 
Questi tranquilli fiori del fossato
Sono come le mie parole
Frutti per i denti del vento
E poi per il nulla?
E quel leccio che ha quasi bocca
E braccia e sguardo,
Lascerà l’edera del suo spirito
Per sprofondare senz’anima?
E poi il cuore, a che ci serve?
Per lasciarlo in un lungo sentiero
Appeso ad un altro petto
O per sotterrarlo nella neve bianca
Quando sentiamo sulla nostra fronte
Il freddo della canizie?
…………………………………
 
…………………………………
Com’è lontano il monte!
Amico William!
Mi stai ascoltando? Sì?
(I rami
Secchi degli alberi
Sospirano in silenzio sull’acqua).
 
***
 
Quanta ombra! Mio Dio!
Ora mi ricordo di te… Ora la speranza
Come un fiore versa il suo polline d’oro
Sulla mia fronte malata.
Grazie, Signore!
 
Due ombre silenziose
Passano lungo il sentiero.
Una è il genietto di Descartes.
L’altra ombra è la Morte…
Sento i loro sguardi
Come baci di piombo sulla mia pelle.
Si sono zittite le rane!
Già s’allontanano! Ahi, quale sentiero
Porterà alla mia casa?
Questo? Quello? Oppure quel viottolo?
Che confusione!…
 
Le rane
Iniziano in sordina i loro canti
Senza armonia alcuna!
E là dove s’incrociano i sentieri
Già vedo sulla montagna
Una caricatura della sfinge
Che ride a crepapelle!
 
***
 
Poi, nella solitudine della mia stanza
E al calore della lampada, pensai:
Tutti viviamo nell’oscuro bosco
Che Shakespeare s’immaginò.
C’è chi si semina gigli in petto
E gli nascono ortiche.
 
C’è chi canta
Credendosi allodola del mattino,
E il suo flauto resta muto.
Ma, Signore, è il cuore cosa
Così fragile e così falsa?
Penso sereno alla mia tristezza.
È ormai giunta l’alba
E vedo su ogni seggiola della mia stanza
Seduto un gran fantasma.
 
 

 
23 ottobre 1917
 





 
Da: Federico García Lorca, Maria Maddalena e altri inediti, a cura di P. Menarini, Nuova Compagnia Editrice 1995.