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Rivista Internazionale di Poesia, Arte e Teatro
POESIA MESSICANA : Ramón López Velarde

poesia messicana : RAMóN LóPEZ VELARDE

anno 2 - N° 23
7 Aprile 2017

Ramón López Velarde (Jerez, 1888 – Città del Messico, 1921) è considerato, nonostante la sua breve vita, il poeta nazionale del Messico. Dopo la laurea in giurisprudenza, come molti altri letterati messicani, si diede all’impegno politico, in particolare opponendosi alla dittatura maderista. La sua prima raccolta poetica, La sangre devota, uscì nel 1916; la seconda, Zozobra, considerata il suo capolavoro, nel 1921. Nello stesso anno, in occasione del primo centenario dell’Indipendenza, scrisse La suave Patria, un poemetto «che era un’aperta dichiarazione d’amore alla terra natia e una critica benevola, ma in termini essenziali molto dura, al carattere stravagante e all’ansia modernizzatrice della Rivoluzione messicana» (V.M. Mendiola).
Di seguito, per i nostri lettori, riportiamo La tónica tibieza / Il tonico tepore, poesia tratta da La sangre devota, insieme al primo atto della Suave Patria, l'opera di cui lo stesso Jorge Luis Borges aveva sottolineato la complicata semplicità delle immagini. 





LA TÓNICA TIBIEZA
  
¿Cómo será esta sed constante de veneros
femeninos, de agua que huye y que regresa?
¿Será este afán perenne, franciscano o polígamo?
 
Yo no sé si está presa
mi devoción en la alta
locura del primer
teólogo que soñó con la primera infanta,
o si, atávicamente, soy árabe sin cuitas
que siempre está de vuelta de la cruel continencia
del desierto, y que en medio de un júbilo de huríes,
las halla a todas bellas y a todas favoritas.
 
No sé… Mas que en la hora reseca e impotente
de mi vejez, no falte la tónica tibieza
mujeril, providente
con los reyes caducos que ligaban las hoces
de Israel, y cantaban
en salmos, y dormían sobre pieles feroces.

 
 
 
 

IL TONICO TEPORE
 
Come sarà questa sete costante di sorgenti
femminili, di acqua che scorre e che ritorna?
Sarà questo perenne desiderio, francescano o poligamo?
 
Io non so se la mia devozione
è pervasa
dalla suprema pazzia del primo
teologo che sognò la prima infanta,
o se, atavicamente, sono arabo senza sofferenze
che è sempre di ritorno dalla cruda astinenza
del deserto, e che in mezzo a un giubilo di uri,
le trova tutte belle e tutte preferite.
 
Non lo so… Ma nell’ora arida e impotente
della mia vecchiaia, non mi manchi il tonico tepore
muliebre, provvido
verso i re caduchi che legavano le falci
d’Israele, e cantavano
in salmi, e dormivano su pelli feroci.
 
 
 

LA SUAVE PATRIA
 
PRIMER ACTO

 
Patria: tu superficie es el maíz,
tus minas el palacio del Rey de Oros,
y tu cielo, las garzas en desliz
y el relámpago verde de los loros.
 
El Niño Dios te escrituró un establo
y los veneros del petróleo el diablo.
 
Sobre tu Capital, cada hora vuela
ojerosa y pintada, en carretela;
y en tu provincia, del reloj en vela
que rondan los palomos colipavos,
las campanadas caen como centavos.
 
Patria: tu mutilado territorio
se viste de percal y de abalorio.
 
Suave Patria: tu casa todavía
es tan grande, que el tren va por la vía
como aguinaldo de juguetería.
 
Y en el barullo de las estaciones,
con tu mirada de mestiza, pones
la inmensidad sobre los corazones.
 
¿Quién, en la noche que asusta a la rana,
no miró, antes de saber del vicio,
del brazo de su novia, la galana
pólvora de los juegos de artificio?
 
Suave Patria: en tu tórrido festín
luces policromías de delfín,
y con tu pelo rubio se desposa
el alma, equilibrista chuparrosa,
y a tus dos trenzas de tabaco sabe
ofrendar aguamiel toda mi briosa
raza de bailadores de jarabe.
 
Tu barro suena a plata, y en tu puño
su sonora miseria es alcancía;
y por las madrugadas del terruño,
en calles como espejos se vacía
el santo olor de la panadería.
 
Cuando nacemos, nos regalas notas,
después, un paraíso de compotas,
y luego te regalas toda entera
suave Patria, alacena y pajarera.
 
Al triste y al feliz dices que sí,
que en tu lengua de amor prueben de ti
la picadura del ajonjolí.
 
¡Y tu cielo nupcial, que cuando truena
de deleites frenéticos nos llena!
 
Trueno de nuestras nubes, que nos baña
de locura, enloquece a la montaña,
requiebra a la mujer, sana al lunático,
incorpora a los muertos, pide el Viático,
y al fin derrumba las madererías
de Dios, sobre las tierras labrantías.
 
Trueno del temporal: oigo en tus quejas
crujir los esqueletos en parejas,
oigo lo que se fue, lo que aún no toco
y la hora actual con su vientre de coco.
Y oigo en el brinco de tu ida y venida,
oh trueno, la ruleta de mi vida.

 
 

 
LA SOAVE PATRIA
 
PRIMO ATTO

 
Patria: il tuo suolo è il mais, le tue miniere
sono il palazzo del Re di denari
e il tuo cielo, gli aironi guizzanti
e il verde balenio dei pappagalli.
 
Ti scritturò una stalla Dio Bambino
e il diavolo i pozzi del petrolio.
 
Sulla tua Capitale, ogni ora vola
con le occhiaie e truccata, in carrettella;
e in provincia, dall’orologio insonne
intorno a cui girano i colombi,
come monete cadono i rintocchi.
 
Patria, il tuo mutilato territorio
si veste di percalle e di perline.
 
Soave Patria, la tua casa è ancora
così grande che il treno sui binari
corre come giocattolo a Natale.
 
E nel fragore delle tue stazioni,
metti, con il tuo sguardo di meticcia,
l’immensità all’interno di ogni cuore.
 
Chi, nella notte che allarma la rana,
non contemplò, ignaro ancor del vizio,
sottobraccio alla ragazza, la bella
polvere dei giochi d’artificio?
 
Dolce Patria, nel torrido festino
sfoggi policromie di delfino,
e coi tuoi biondi capelli si sposa
l’anima, equilibrista colibrì,
e alle tue trecce di tabacco sa
offrire idromele la mia briosa
razza di ballerini di jarabe.
 
Suona come l’argento la tua argilla,
la sua alta miseria è salvadanaio,
e nelle albe del paese natio,
per le vie come specchi si diffonde
il santo odore del pane sfornato.
 
Quando nasciamo, ci regali note,
più tardi un paradiso di composte,
e infine ti regali tutt’intera
soave Patria, credenza e uccelliera.
 
Dici di sì al triste e al felice,
che provino di te nella tua lingua
amorosa del sesamo il prurito.
 
E il tuo cielo nuziale quando tuona
ci riempie di frenetici diletti!
 
Tuono di nostre nubi, che ci inonda
di pazzia, rende folle la montagna,
corteggia la donna, sana il lunatico,
i morti mette in piedi, chiede il Viatico
e butta giù infine tutti i legni
di Dio, sulle terre coltivabili.
 
Tuono del temporale, nei tuoi gemiti
odo scricchiare gli scheletri in coppia,
odo ciò che passò, che ancor non tocco
e l’ora attuale col ventre di cocco.
E odo nel balzo del tuo andirivieni,
oh tuono, la roulette della mia vita.
 
 
Poesie tratte da Ramón López Velarde, Antologia poetica. Traduzione di E. Coco, Selezione di M.A. Campos, Introduzione di V.M. Mendiola, Raffaelli Editore 2016